sabato 1 dicembre 2012

Tzì Monaca

In Somalia venivo trattata comu 'nu papa. Così dice.
Una guerra civile guardavano gli occhi suoi leccesi, gente che si mandava a chiamare col sangue sui fogli: diplomazia, dicevano. Ancora oggi, con un rene in meno e anni da spacciare in saldo, non dice sangue. Comecché sangue llurdasse lo stagnare del creato, comecché quel creato passasse ancora tutto sotto la livella di una benedizione vaticana.
In Somalia però ci stava bene, o forse così dice, poiché questa è la soluzione più vicina ai silenzi dell'ultimo periodo. Se s'inoltrasse in sbocchi discorsivi come la difficoltà di compiere una missione in una terra dove i bambini amputati venivano tolti dalla polvere, domanda tira domanda, si allontanerebbe dal riposo simileterno accordatosi negli ultimi anni.
Meglio una radiolina ed una rotella da molestare come 'na puttanuna. E ti verrebbe da dire puttana di una rotella, se la frequenza su cui si addormenta da una vita non fosse quella di Radio Maria. E sticazzi.
Che hai detto, tiaulu?
Ho detto, cavolo zia, ti tratti la radiolina meglio te 'nu nipute.
E' che il nipote sei tu: incarnazione del diavolo.
Ammè 'sta cosa del battezzarmi tiaulu aveva provocato una sorta di fascinazione per cui anziché estromettermi da un discorsu religiosu ed auscultare i palpiti del convento come nu vampiru addasciunu, avevo preso ad addentrarmi come una spia in ambienti che col loro star zitti 'nforza mi parlavano più di qualsiasi bibbia divaricata. Le suore comandavano, ed allungando il pensiero oltre il muro dell'istituto, le accoppiavo ad Andreotti. Morti soi. Le suore sono andreottiane zen, nè più e nè meno. Ma le migliori, a differenza sua, se ne vanno dall'Italia.
Alla tzì Monaca non ho mai dumandatu l'età di quei corpi niuri che si chiarivano di gesso dopo le deflagrazione. Sono convinto che se pure lo avessi fatto, si sarebbe inventata 'nu sonnu repentino di risposta. Oppure ancora, così come in questi giorni, avrebbe detto macché, da papa stavo. Lei non dà l'idea di una a cui si debba dumandare; lei piuttosto ha quell'odore di porto ospedaliero, di slargo verso cui gettare una fune, una mano, un qualcosa che faccia rima con fine, ma che si tramuti in infinito nelle sue braccia.
Può darsi cà infinito fazza rima anche con la vita sua.
Non solo pe llu fattu dei novantrè anni tirati innanzi come nu carrettu te muli impuntati. Ma anche per via di quellu ddiu che castimiamu e che mettiamo a mo' di virgola o di pausa dialogica e che prima di noi è all'utilizzo del Vaticano non meno bestemmiatore proprio per tale uso.
Insomma, la vita sua fa rima con infinito perché sta ferma lì nella cassa squinternata di una radiolina ormai stanca di pompare preghiere. Non mi vede e non mi sente, tzì Monaca, di conseguenza non sente manco Radio Maria, però quell'orecchio lo lascia incollato lì, quasi che per andarsene allu ddiu sou occorra per forza avere il nullaosta della speaker di Radio Maria.





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