martedì 11 dicembre 2012

Un timone grande quanto un ospedale

A Gaeta il vento ha cominciato a narrare. 
A Gaeta il vento non la vuole smettere.
A Gaeta i pescatori hanno spento i motori. 
Basta poco ad ogni andare, oggi basterebbe già un fiato.

Magari sarà ancora lì tra una corda e una vela, annodata all'albero maestro come per ogni anima nata nella tessitura che fa la salsedine. O magari si sarà avvinghiata all'elica dello scafo e girerà insieme ad essa come per rassicurare che la danza eterna dell'esistere non avrà mai epilogo. Magari non è morta a seguito di una lunga malattia, e quel parolame che sputano in giro sarà una delle tante bufale alimentate dal silenzio troppo rigido del mare.
Il mare è così, ha una sua millenaria austerità.
Solo silenzi a perdita d'orecchio, dal rintocco di Noè ad ogni misero rifluire fluviale.
Ogni arco è un'arca capovolta, e se tu cogli il senso del congiungersi, vedrai ancora lì, Paola, attendere e forgiare lo scoccarsi definitivo nelle onde. Il suo lancio e quello del piccolo Niki che per vivere non può fare altrimenti; povero figlio, asmatico e con una cura incagliata fra i coralli di Gaeta.

Leggo poco la tivù, leggo poco l'asma di chi s'inventa un'asma per ricevere un pietismo in diretta, a reti unificate. Mi seducono le parole solitarie come il viaggio ostinato di una madre, controcorrente, contro tutti, contro queste sponde laide che non vale la pena di toccare manco per fare carburante.
E allora remi, nevvero Paola? Remi da sfondarsi la pancia fino a che non sia il largo della salsedine a rifocillare un timone grande quanto un ospedale.
Un timone grande quanto un ospedale incagliato nei coralli di occhi materni.
Eppoi un monitor piccolo come una scuola con mille aule e diecimila bambini tutti forzati all'apprendere statale. Ce lo hai detto a Niki? Dico, lo saprà che la madre gli ha costruito un'arca di Noè con la scuola in una tivù e che questa tivù galleggi sui mari del domani? Niki lo sa, sa di una madre diversa almeno quanto lui. E se, nella webcam, un suo coetaneo strizza l'occhio, è per via dei sogni di salsedine che ogni bambino cova e che quasi sempre realizza una volta fuori dalle scuole.
Niki, a dire il vero, sa prima del dottore quando mamma morirà. In fondo questi sono i patti di tutti gli uomini che prendono il largo.
Un giorno quel povero figlio ha veduto il mare genuflettersi in una piattezza terrificante, ha spiato una madre coraggio svuotarsi le tasche dei chiodi, del martello e dei lacerti di vela grezza. Ha veduto il vento nei capelli, ha letto nei capelli di una donnacoraggio il vizio degli uomini che vanno a largo, il vizio dell'avere in odio la terra che sta ferma e che non fa come loro. 

A Gaeta il sole è tramontato due volte nell'arco di poche ore, il vento forse narrerà.
Il vento, come il mare, possiede i suoi silenzi severi sparsi qua e là nella tessitura della salsedine.
Gli uomini della terraferma li chiamerebbero malattie.
A largo, però, è un altro discorso.


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