mercoledì 5 dicembre 2012

Ammè davano le medaglie

Ammè davano le medaglie quand'ero bimbo.
Cacavo prima del lasso temporale a cui avevo abituato il pubblico parentame?, mangiavo le scorcioppole intere?, parolavo un termine criptico a vanto di una generazione senza mezzi termini?, l'amica mia allungava la stampella fino al tiretto, lo apriva e mi donava un disco di metallo. Ogni giorno sempre diverso, ogni volta un oro, oro e basta, e non rompetemi i coglioni, ché allora non c'erano le leghe e tutte le medaglie venivano figliate dai monti minerali, senza preamboli.
Ammè davano le medaglie quand'ero bimbo.
E quando non cacavo prima, m'inventavo qualcosa per farmi il braccio a forma di stampella: la vita stessa è un filo di metallo circolare che uno percorre per via del lucore, perché il lucore è un brutto scherzo giocato da una moneta scagliata in aria al posto di un sentimento.
Rubavo la medaglia senza aver toccato water?, mi sentivo insignito di un qualcosa, di una cazzo di cosa che si sperdeva tra la tigna delle unghie selvagge.
Non ho mai visto la differenza tra un dono e un furto.
Una scienza in questo c'è, è la scienza dell'intuire la stagione nuova di una umanità.
La mia amica è morta con due femori di plastica ed uno prenotato.
Io ancora corro con una stampella a forma di cuore.

3 commenti:

  1. Hai un modo tagliente, assoluto di raccontare il dolore. Senza perdite di tempo, senza lamenti. Come chi piange lacrime vere, ma solo di notte, o nel mare, o sotto la pioggia.
    Disarmante.

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  2. è che cerco di far emergere il non detto, il frattempo d'ogni sentire. ti ringrazio cara roberta, per aver colto un intimo.

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