lunedì 31 dicembre 2012

Per l'anno in cui inciamperemo


E’ stato un anno difficile perché uno Stato nello Stato, dopo aver cercato in mille modi di dissuaderci dall’essere cittadini attivi, è uscito allo scoperto e ci ha dichiarato guerra, apertamente, come lo farebbe il compagno di pianerottolo: ha premuto il campanello, s’è lasciato aprire e vedere con le mani occupate, nella sinistra la bottiglia, nella destra un coltello. Ho visto uomini fare spazio, accogliere una minaccia con la bontà di sempre, con gli occhi presi a prestito da un figlio in passeggino; ho visto uomini uscire sul pianerottolo, chiudersi la famiglia dietro e dare testate al vicino e alle pareti, prima di gettarsi nella fisarmonica delle scale; ho visto uomini dietro lo spioncino, sorridere, serrare e lasciarsi felicemente morire di fame guardando foto impolverate di un matrimonio anni ottanta, con le piante più alte e i liquori migliori e una torta da incidere come una gengiva, come un dente del pregiudizio; ho visto uomini bestemmiare davanti alla grata di un confessionale e parroci annuire; ho visto parroci con le clave e navi su cui salire per sentirsi italiani. Ho visto la terra fremere tutta, e pezze di formaggio parlare alla nazione meglio di un presidente, dire che bisognava tornare alla vita, come un operaio italiano potesse portare al guinzaglio un terremoto e umiliare i sismografi. Ho visto pasque ovunque, gente risorgere nella frattura di un sorriso. Ho visto amici di sangue andarsene come il vino nelle viscere, e ho visto amici accompagnare le scatole di legno come si accompagna un cucciolo alla fontana di paese. Ho visto donne condotte in piazza per un rogo sempre improvvisato, e ho visto donne, silenziose, condurre un paese sulle spalle di poche parole dette tra il grembo e un aquilone. Ho visto la donna mia dipingermi un vorrei prima di ogni passo e ho pianto per ogni tempo guadagnato al suo fianco. Per questo e per tanto altro io mi sento di ringraziarvi, perché è unicità ogni accadimento e perché è uno sgarbo nei confronti della rivoluzione sottrarsi a ciò.
Ho visto che nelle macerie giace il meglio di una generazione senza età e senza storia.
Che questo è la mia Italia, volente o nolente, e che allora vale la pena viverla fino all’ultimo sorso.
Siamo in tempo per tutto, non dimenticatelo. Buon anno.

martedì 11 dicembre 2012

Un timone grande quanto un ospedale

A Gaeta il vento ha cominciato a narrare. 
A Gaeta il vento non la vuole smettere.
A Gaeta i pescatori hanno spento i motori. 
Basta poco ad ogni andare, oggi basterebbe già un fiato.

Magari sarà ancora lì tra una corda e una vela, annodata all'albero maestro come per ogni anima nata nella tessitura che fa la salsedine. O magari si sarà avvinghiata all'elica dello scafo e girerà insieme ad essa come per rassicurare che la danza eterna dell'esistere non avrà mai epilogo. Magari non è morta a seguito di una lunga malattia, e quel parolame che sputano in giro sarà una delle tante bufale alimentate dal silenzio troppo rigido del mare.
Il mare è così, ha una sua millenaria austerità.
Solo silenzi a perdita d'orecchio, dal rintocco di Noè ad ogni misero rifluire fluviale.
Ogni arco è un'arca capovolta, e se tu cogli il senso del congiungersi, vedrai ancora lì, Paola, attendere e forgiare lo scoccarsi definitivo nelle onde. Il suo lancio e quello del piccolo Niki che per vivere non può fare altrimenti; povero figlio, asmatico e con una cura incagliata fra i coralli di Gaeta.

Leggo poco la tivù, leggo poco l'asma di chi s'inventa un'asma per ricevere un pietismo in diretta, a reti unificate. Mi seducono le parole solitarie come il viaggio ostinato di una madre, controcorrente, contro tutti, contro queste sponde laide che non vale la pena di toccare manco per fare carburante.
E allora remi, nevvero Paola? Remi da sfondarsi la pancia fino a che non sia il largo della salsedine a rifocillare un timone grande quanto un ospedale.
Un timone grande quanto un ospedale incagliato nei coralli di occhi materni.
Eppoi un monitor piccolo come una scuola con mille aule e diecimila bambini tutti forzati all'apprendere statale. Ce lo hai detto a Niki? Dico, lo saprà che la madre gli ha costruito un'arca di Noè con la scuola in una tivù e che questa tivù galleggi sui mari del domani? Niki lo sa, sa di una madre diversa almeno quanto lui. E se, nella webcam, un suo coetaneo strizza l'occhio, è per via dei sogni di salsedine che ogni bambino cova e che quasi sempre realizza una volta fuori dalle scuole.
Niki, a dire il vero, sa prima del dottore quando mamma morirà. In fondo questi sono i patti di tutti gli uomini che prendono il largo.
Un giorno quel povero figlio ha veduto il mare genuflettersi in una piattezza terrificante, ha spiato una madre coraggio svuotarsi le tasche dei chiodi, del martello e dei lacerti di vela grezza. Ha veduto il vento nei capelli, ha letto nei capelli di una donnacoraggio il vizio degli uomini che vanno a largo, il vizio dell'avere in odio la terra che sta ferma e che non fa come loro. 

A Gaeta il sole è tramontato due volte nell'arco di poche ore, il vento forse narrerà.
Il vento, come il mare, possiede i suoi silenzi severi sparsi qua e là nella tessitura della salsedine.
Gli uomini della terraferma li chiamerebbero malattie.
A largo, però, è un altro discorso.


mercoledì 5 dicembre 2012

Ammè davano le medaglie

Ammè davano le medaglie quand'ero bimbo.
Cacavo prima del lasso temporale a cui avevo abituato il pubblico parentame?, mangiavo le scorcioppole intere?, parolavo un termine criptico a vanto di una generazione senza mezzi termini?, l'amica mia allungava la stampella fino al tiretto, lo apriva e mi donava un disco di metallo. Ogni giorno sempre diverso, ogni volta un oro, oro e basta, e non rompetemi i coglioni, ché allora non c'erano le leghe e tutte le medaglie venivano figliate dai monti minerali, senza preamboli.
Ammè davano le medaglie quand'ero bimbo.
E quando non cacavo prima, m'inventavo qualcosa per farmi il braccio a forma di stampella: la vita stessa è un filo di metallo circolare che uno percorre per via del lucore, perché il lucore è un brutto scherzo giocato da una moneta scagliata in aria al posto di un sentimento.
Rubavo la medaglia senza aver toccato water?, mi sentivo insignito di un qualcosa, di una cazzo di cosa che si sperdeva tra la tigna delle unghie selvagge.
Non ho mai visto la differenza tra un dono e un furto.
Una scienza in questo c'è, è la scienza dell'intuire la stagione nuova di una umanità.
La mia amica è morta con due femori di plastica ed uno prenotato.
Io ancora corro con una stampella a forma di cuore.

lunedì 3 dicembre 2012

Ultim'ora bislacca

Mi volto d'un tratto, che per picca non lascio il collo avvitato 'ntru cielu, e te la vedo coi suoi bislaccooo bislaccaaa senza etimo, la sua minchiata del dire 'na palora per sembrare altro rispetto a quiddhru che è. E' matematicu che mancu iddhra si vorrebbe 'ntra un contenitore catodicu merdusu come quello che porta annanzi manco che fosse Garibardo a capobanda di mille cugghiuni macellai prima, eroi moi.
Tuttavia quandu dice bislaccooo bislaccaaa c'è 'nu squadrune di pensionati cu lli denti di latte scremato che sbatacchiano le mani al posto de la capu. In faccia a 'nu spigulu di cimentu armatu, mi dicu, in faccia alla telecamera che puntuale li alluma peggio di 'nu sule che spero non arrivino a contemplare l'indomani.

Non vi parla uno così, uno che so, ca si pija imbarazzu toccandu le tematiche te l'anzianu cusine, lu vagnune cusine, vulimune bene, faci lu scrittore e tocca cu parli a 'na certa manera. Capimune, non sulo nu su scrittore, ma se pure lo fossi, Barbarella, ci l'ha detto che dovrei fare lu pacifista di sula bandiera? Lu scrittore è 'nu guerrafondaiu senza armi, m'hai capitu? Si face la guerra sulu, e ristabilisce la pace quando vuole dentro il fegato suo, ché quello ha importanza. Perché tutto puoi mettere sutta assedio dentro lu corpu di unu che scrive, tranne che lu fegatu. Per due cose primarie: l'alcol, ma quiddhra è n'addhra bella guerra di cui nu parlo, e l'immunizzazione giusta allu scopu di non ammalazzarsi percependo bislaccooo bislaccaaaa tra un televideo e l'altro. Perchè questo è quiddhru che mi futte della televisione, Barbarella: 'u televideo.
Essì, 'u televideu.
Percé?, mi dici.
Percè pensu, ma quiddhru è un pensiero longu quantu li morti ca vorrei castimarti, longu quanto 'u paliu te Siena sul rettilineo, longu quantu 'nu grattacielu ddurmisciutu. Percè pensu, dicevo, ca non è bello che il mondo viva senza farmelo sapire, e così ogni dieci minuti lo guardo ficcarsi nella schermata nera, con una scritta gialla a 'nfronte ULTIM'ORA. Ammè me piace cusine lu mundu.
Perciò, Barbarella bislacca come l'occhi che storci similmente a tragedie e rose, io stau male; come dirti?, sei peggio te 'nu uischi per lu fegato mio ed uno che fa lo scrittore e che somma strazzi di palore come 'nu minchia, pe' incontrare le emozioni te la gente ed evitare le proprie, una soluzione ce la trova a 'nforza per la salute sua. Sicché io aggio deciso di augurarti una ULTIM'ORA pure a ttie. E non è un augurio cusine eh, è un progetto, diciamu, artisticu che io ti affiderei senza far sapire a 'ngiro. Giustu per non rivoltare 'ntra la tomba quel bravu cristianu di Aldo Bello, che il televideo lo inventau.
Quindi, come tittu, ti affido l'ULTIM'ORA, che risponde al canale 101 di televideo.
Gestiscila come vuoi, io mi fido, al massimo saranno dolori di etimo, ma dureranno poco.
Tu scegli come meglio trascorrerli quisti ultimi minuti. Che so, magari con llu microfunu potresti stenderti sullo rettilineo de lu palio di Siena, aspettare lu passaggiu di tutti quanti li cavaddhri sulllu corpu tou di plastica e sorridere come sempre fai. Perchè ti riesce bene.
Dopo questo, io, scrittore non scrittore, col fegatu 'ntra le mani, attraversu la polvere e ti dumandu 'Bislaccu no?'.


sabato 1 dicembre 2012

Tzì Monaca

In Somalia venivo trattata comu 'nu papa. Così dice.
Una guerra civile guardavano gli occhi suoi leccesi, gente che si mandava a chiamare col sangue sui fogli: diplomazia, dicevano. Ancora oggi, con un rene in meno e anni da spacciare in saldo, non dice sangue. Comecché sangue llurdasse lo stagnare del creato, comecché quel creato passasse ancora tutto sotto la livella di una benedizione vaticana.
In Somalia però ci stava bene, o forse così dice, poiché questa è la soluzione più vicina ai silenzi dell'ultimo periodo. Se s'inoltrasse in sbocchi discorsivi come la difficoltà di compiere una missione in una terra dove i bambini amputati venivano tolti dalla polvere, domanda tira domanda, si allontanerebbe dal riposo simileterno accordatosi negli ultimi anni.
Meglio una radiolina ed una rotella da molestare come 'na puttanuna. E ti verrebbe da dire puttana di una rotella, se la frequenza su cui si addormenta da una vita non fosse quella di Radio Maria. E sticazzi.
Che hai detto, tiaulu?
Ho detto, cavolo zia, ti tratti la radiolina meglio te 'nu nipute.
E' che il nipote sei tu: incarnazione del diavolo.
Ammè 'sta cosa del battezzarmi tiaulu aveva provocato una sorta di fascinazione per cui anziché estromettermi da un discorsu religiosu ed auscultare i palpiti del convento come nu vampiru addasciunu, avevo preso ad addentrarmi come una spia in ambienti che col loro star zitti 'nforza mi parlavano più di qualsiasi bibbia divaricata. Le suore comandavano, ed allungando il pensiero oltre il muro dell'istituto, le accoppiavo ad Andreotti. Morti soi. Le suore sono andreottiane zen, nè più e nè meno. Ma le migliori, a differenza sua, se ne vanno dall'Italia.
Alla tzì Monaca non ho mai dumandatu l'età di quei corpi niuri che si chiarivano di gesso dopo le deflagrazione. Sono convinto che se pure lo avessi fatto, si sarebbe inventata 'nu sonnu repentino di risposta. Oppure ancora, così come in questi giorni, avrebbe detto macché, da papa stavo. Lei non dà l'idea di una a cui si debba dumandare; lei piuttosto ha quell'odore di porto ospedaliero, di slargo verso cui gettare una fune, una mano, un qualcosa che faccia rima con fine, ma che si tramuti in infinito nelle sue braccia.
Può darsi cà infinito fazza rima anche con la vita sua.
Non solo pe llu fattu dei novantrè anni tirati innanzi come nu carrettu te muli impuntati. Ma anche per via di quellu ddiu che castimiamu e che mettiamo a mo' di virgola o di pausa dialogica e che prima di noi è all'utilizzo del Vaticano non meno bestemmiatore proprio per tale uso.
Insomma, la vita sua fa rima con infinito perché sta ferma lì nella cassa squinternata di una radiolina ormai stanca di pompare preghiere. Non mi vede e non mi sente, tzì Monaca, di conseguenza non sente manco Radio Maria, però quell'orecchio lo lascia incollato lì, quasi che per andarsene allu ddiu sou occorra per forza avere il nullaosta della speaker di Radio Maria.